Il termine più usato è quello di spreco alimentare, ma in realtà la perdita di cibo prodotto e non utilizzato avviene in molte maniere per cui gli studiosi e la stessa Fao (http://bit.ly/2sPUSD3) distinguono tra:
- Per perdita di cibo s’intende la riduzione non intenzionale del cibo destinato al consumo umano che deriva da inefficienze nella catena di approvvigionamento: infrastrutture e logistica carenti, mancanza di tecnologia, competenze, conoscenze e capacità gestionali insufficienti. Avviene soprattutto nella fase di produzione, di post raccolto e di lavorazione dei prodotti, per esempio quando il cibo non viene raccolto o è danneggiato durante la lavorazione, lo stoccaggio o il trasporto e viene smaltito.
- Per spreco alimentare si intende invece lo scarto intenzionale di prodotti commestibili, soprattutto da parte di dettaglianti e consumatori, ed è dovuto al comportamento di aziende e privati.
- Con il termine sperpero alimentare si fa riferimento alla combinazione dei due termini precedenti.
Perché “perdiamo” cibo
A volte non conviene raccogliere perché il prezzo di vendita atteso non è remunerativo, oppure perché il contributo ricevuto per produrre è stato concesso in funzione della superficie e non del raccolto. Perché la grandine ha rovinato “esteticamente” la frutta e la verdura. Perché la raccolta automatizzata rovina o non considera una parte del prodotto. Perché il trasporto del prodotto non è effettuato in modo corretto: refrigerazione, igiene, etc. Perché il prodotto fresco non è trasformato tempestivamente nelle industrie alimentari. Perché solo una piccola parte del prodotto viene proposta alla vendita: il petto di pollo, il filetto di pesce, il cuore del sedano, etc. Perché le confezioni non sono immuni da difetti. Nei Paesi in via di sviluppo il 40% dello spreco avviene nella fase di post-raccolta e trasformazione, mentre nei Paesi industrializzati la stessa percentuale è sprecata nella distribuzione.
Quanto e cosa sprechiamo
Quello che colpisce di più è però lo spreco alimentare vero e proprio al quale contribuiscono tutti i consumatori finali senza motivazioni ben precise.
In uno studio promosso dal Ministero dell’Ambiente con l’Università di Bologna, l’Università della Tuscia, il Politecnico di Milano, l’Università di Udine e la campagna “Spreco Zero” di Last Minute Market, condotto su 400 famiglie di tutta Italia e un campione di scuole, iper e supermercati italiani rivela che ogni giorno, fra ciò che rimane nel piatto, nel frigo e nella dispensa di casa, le famiglie gettano
- 100,1 grammi di cibo a testa al giorno
- 36,9 chili di alimenti all’anno
- per un costo di 250 euro annui.
È il 40% in meno rispetto al 2016, quando nella pattumiera erano finiti 84 chili, con un risparmio di 110 euro in 365 giorni.
Il cibo più gettato è la verdura (20 grammi al giorno, pari al 25,6% del totale), seguito subito dopo da latte e latticini (13 grammi al giorno) e la frutta (12 grammi al giorno). ( http://bit.ly/2Ji5kya )
Tra le cause principali da imputare allo spreco l’aver raggiunto o superato la data di scadenza nel 46% dei casi, mentre il cibo che non è piaciuto è il 26% dei casi. La cena è il pasto più sprecone: si butta in media 1 volta e mezza più cibo che a pranzo.
Anche elle mense scolastiche è stato monitorato lo spreco alimentare, ed è emerso che quasi un terzo dei pasti viene gettato, pari a 120 grammi di cibo per studente ad ogni pasto. La grande distribuzione invece produce 2,89 chili annui di spreco alimentare per abitante, 55,6 grammi a settimana e 7,9 grammi al giorno.
Più attenzione alle date di scadenza
Anche la Fondazione Barilla (http://bit.ly/2sMSZH6) ha diffuso i dati sullo spreco alimentare secondo cui è stato accertato che una famiglia media italiana getta circa 85 kg di cibo in un anno. Una quantità che secondo gli esperti si potrebbe notevolmente ridurre, facendo più attenzione alle relative date di scadenza dei prodotti. Lo spreco è dovuto molto spesso al fatto che si non presta la dovuta attenzione alla differenza tra date di scadenza tassative e non e sul modo più corretto di conservazione degli alimenti
Secondo i dati della Fondazione Barilla in Italia è stata la filiera alimentare a compiere i maggiori passi in avanti in questa battaglia: confrontando l’indice del 2016 con quello del 2017, si è passati dal 3,58% del cibo gettato rispetto a quello prodotto, al 2,3% del 2017.
In Italia, ricorda la Fondazione, frutta e ortaggi gettati via nei punti vendita comportano lo spreco di più di 73 milioni di metri cubi d’acqua quella usata per produrli, ovvero 36,5 miliardi di bottiglie da 2 litri.
Ecco quindi che per ridurre gli sprechi domestici, la Fondazione Barilla lancia una serie di suggerimenti utili, dal fare una spesa ragionata con una lista ben precisa, ricordando che sprecare cibo vuol dire buttare via dei soldi. Ma anche cucinare solo ciò che puoi consumare, fare attenzione alla scadenza dei prodotti, non buttare via avanzi e scarti alimentari.
Contro lo spreco: piccoli gesti quotidiani
Ci sono quindi delle piccole azioni quotidiane che noi – cittadini e consumatori – possiamo mettere in atto per contribuire a ridurre il proprio spreco alimentare e di conseguenza la propria impronta ecologica come:
- fare la lista della spesa e comprare solo quanto necessario;
- comprare se possibile da produttori locali;
- scegliere prodotti di stagione;
- usare meno trasformati e più ingredienti;
- imparare a cucinare con quello che c’è, usando avanzi e scarti
- non servire porzioni eccessive!
E l’Italia è all’avanguardia sul sostegno legislativo per combattere lo spreco alimentare, grazie a una legge – la 166/2016, entrata in vigore il 14 settembre 2016, che in un solo anno ha già prodotto risultati di riguardo:
- un +20% nelle donazioni di cibo, con alcune aree del Sud che hanno registrato tassi di crescita del +120% in un solo anno
- soprattutto l’avvio di esperienze di recupero e donazione in settori inediti, come i prodotti freschi, il pesce, i cibi già cotti – che mette il riflettore proprio sulle opportunità che esistono per mettere a buon uso le eccedenze una volta che si sono create, riconoscendo la “priorità” del recupero del cibo per fini sociali.
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Giuseppe Fugaro per fruttaebacche.it